DI LUCIANO BENINI SFORZA

L'Inguaribile
Distanza

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L'Inguaribile Distanza

Di Luciano Benini Sforza

Ci può essere una poetica e un’ideologia nella fotografia? Può esserci un’idea del mondo e una concezione dell’arte?

In Francesco Merenda questa domanda, anzi questa doppia domanda non può che avere una doppia risposta affermativa.
Sì, certo; ma in che modo, in che senso? Le sue opere in primo luogo puntano al cuore delle cose, degli ambienti, degli uomini. Perché puntano alla loro essenza, persino al rapporto fra tutto ciò che nell’immagine è raccolto, fermato e l’essenziale, l’ideale invece pensato o sentito dall’autore.

L’attimo, la scena,  il momento perdono qualsiasi carattere effimero, “liquido” (Bauman), per diventare specchio e spicchio emblematico del mondo, per cogliere l’anima profonda di una pagina raccontata, di un ritratto dipinto, scavato. Sono tanti “varchi” (per riprendere e variare un termine di Montale) verso l’essenziale, oltre la superficie apparente, piatta, per arrivare al vero e profondo peso specifico, al vero battito. Al vero senso che coinvolge tutti e ci spiega, ognuno a suo modo, col suo respiro e il suo passo, tanto che qualcuno parlerebbe di polifonia straordinaria a proposito degli scatti di questo fotografo davvero di pregio, di razza.

Certo, la polifonia: quella capacità di dar voce a tanti punti di vista, a tante sfaccettature, a tanti sguardi sulla vita. A tanti aspetti, a tanti modi di vedere e vivere l’esistenza. Tuttavia, ogni autore, se è un vero autore, cioè di spessore, di valore autentico, ha una sua concezione del tempo e dello spazio, come del mondo e dell’arte che sta praticando.

Come declina Francesco questa sua concezione dello spazio-tempo? Come realizza e traspone la sua sensibilità e il suo pensiero nell’immagine? C’è secondo noi una percezione di un’inguaribile distanza alla base, al fondo delle sue opere, del suo spazio-tempo, anche se a prima vista la curiosità, l’amore attento per la vita, per le vite nella loro ampia, umanissima molteplicità e polifonia potrebbe ingannare, depistare. Intendiamo quella distanza, per riprendere il filo del ragionamento e del discorso, quel divario appunto che oggi più che mai esiste fra ciò che è e ciò che invece potrebbe, anzi dovrebbe essere; quel solco fra reale e ideale che insieme a un’intensa, pluristilistica, profonda, alta lucidità cogliamo nelle sue foto.

Tempi, quelli che viviamo nel mondo contemporaneo, “liquidi” (Bauman), post-ideologici, mercificati, votati all’istante, al dato economico, ad un “carpe diem” (Orazio) spesso sfrenato, consumistico, senza spessore. O, al contrario, tempi di fanatismi di ogni genere.
Tutto ciò non sfugge all’autore, nella sua chiara e  sensibile vicinanza-distanza rispetto a questa società presente, raccontata sempre con la scrittura di un grande narratore, che sa affrescare, illuminare, tratteggiare, analizzare anime e scene, storie piccole e la storia grande (la Storia con la S maiuscola), con foto scovate, contenute o fissate nella fluidità post-ideologica, post-moderna.

Genova, Caruggi - Foto di Francesco MerendaC’è quindi nell’autore un fondo di lucido, impeccabile, intenso “neo-romanticismo”?
Forse, probabilmente; senza però tempestosi o eccessivi sentimentalismi, senza virate didascaliche, moraleggianti. Il contrasto, appunto, il divario fra gli ideali e la realtà (un grande tema romantico per eccellenza, questo) si avverte, si coglie nelle sue fotografie senza dubbio, ma con dignità, senza sfilacciate lamentele, senza prediche, con grande, notevole misura stilistica e umana, con grande compostezza, crediamo.

Le parole sono non a caso qui più che mai inutili, approssimative, anche queste forse. Lasciamo allora parlare le foto, il loro silenzio visivo e denso narrerà o scoverà quell’inguaribile distanza meglio di qualunque scritto critico. Di qualunque ragionata o discorsiva o forbita parola.

LUCIANO BENINI SFORZA

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Luciano Benini Sforza - Parole du Francesco Merenda

… sono tanti varchi verso l’essenziale…

Ci può essere una poetica e un’ideologia nella fotografia? Può esserci un’idea del mondo e una concezione dell’arte?

In Francesco Merenda questa domanda, anzi questa doppia domanda non può che avere una doppia risposta affermativa. Sì, certo; ma in che modo, in che senso?
Le sue opere in primo luogo puntano al cuore delle cose, degli ambienti, degli uomini. Perché puntano alla loro essenza, persino al rapporto fra tutto ciò che nell’immagine è raccolto, fermato e l’essenziale, l’ideale invece pensato o sentito dall’autore.

L’attimo, la scena,  il momento perdono qualsiasi carattere effimero, “liquido” (Bauman), per diventare specchio e spicchio emblematico del mondo, per cogliere l’anima profonda di una pagina raccontata, di un ritratto dipinto, scavato. Sono tanti “varchi” (per riprendere e variare un termine di Montale) verso l’essenziale, oltre la superficie apparente, piatta, per arrivare al vero e profondo peso specifico, al vero battito. Al vero senso che coinvolge tutti e ci spiega, ognuno a suo modo, col suo respiro e il suo passo, tanto che qualcuno parlerebbe di polifonia straordinaria a proposito degli scatti di questo fotografo davvero di pregio, di razza.

Certo, la polifonia: quella capacità di dar voce a tanti punti di vista, a tante sfaccettature, a tanti sguardi sulla vita. A tanti aspetti, a tanti modi di vedere e vivere l’esistenza. Tuttavia, ogni autore, se è un vero autore, cioè di spessore, di valore autentico, ha una sua concezione del tempo e dello spazio, come del mondo e dell’arte che sta praticando.

Come declina Francesco questa sua concezione dello spazio-tempo? Come realizza e traspone la sua sensibilità e il suo pensiero nell’immagine? C’è secondo noi una percezione di un’inguaribile distanza alla base, al fondo delle sue opere, del suo spazio-tempo, anche se a prima vista la curiosità, l’amore attento per la vita, per le vite nella loro ampia, umanissima molteplicità e polifonia potrebbe ingannare, depistare. Intendiamo quella distanza, per riprendere il filo del ragionamento e del discorso, quel divario appunto che oggi più che mai esiste fra ciò che è e ciò che invece potrebbe, anzi dovrebbe essere; quel solco fra reale e ideale che insieme a un’intensa, pluristilistica, profonda, alta lucidità cogliamo nelle sue foto.

Tempi, quelli che viviamo nel mondo contemporaneo, “liquidi” (Bauman), post-ideologici, mercificati, votati all’istante, al dato economico, ad un “carpe diem” (Orazio) spesso sfrenato, consumistico, senza spessore. O, al contrario, tempi di fanatismi di ogni genere.
Tutto ciò non sfugge all’autore, nella sua chiara e  sensibile vicinanza-distanza rispetto a questa società presente, raccontata sempre con la scrittura di un grande narratore, che sa affrescare, illuminare, tratteggiare, analizzare anime e scene, storie piccole e la storia grande (la Storia con la S maiuscola), con foto scovate, contenute o fissate nella fluidità post-ideologica, post-moderna.

C’è quindi nell’autore un fondo di lucido, impeccabile, intenso “neo-romanticismo”?
Forse, probabilmente; senza però tempestosi o eccessivi sentimentalismi, senza virate didascaliche, moraleggianti. Il contrasto, appunto, il divario fra gli ideali e la realtà (un grande tema romantico per eccellenza, questo) si avverte, si coglie nelle sue fotografie senza dubbio, ma con dignità, senza sfilacciate lamentele, senza prediche, con grande, notevole misura stilistica e umana, con grande compostezza, crediamo.

Le parole sono non a caso qui più che mai inutili, approssimative, anche queste forse. Lasciamo allora parlare le foto, il loro silenzio visivo e denso narrerà o scoverà quell’inguaribile distanza meglio di qualunque scritto critico. Di qualunque ragionata o discorsiva o forbita parola.

LUCIANO BENINI SFORZA

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