Fotografia. Arte o non Arte. O altrove

26 Gennaio 2019 Francesco Merenda

Man-Ray – Solarizzazione

E’ il sempreverde più verde di tutti: la domanda se la fotografia sia arte o meno mantiene da un secolo e più la sua posizione nobile nella hit-parade dei fotodischi più caldi.

Non azzardiamo alcun pensiero in merito: sarebbe inutile, o sbagliato, o ridondante, o pomposo: se cercate la risposta a questa domanda, certamente meglio tornare al motore di ricerca!

Ma  visto che parliamo delle cose della rete, della fotografia nella rete, il tema indubbiamente c’è: essendo milioni gli appassionati di fotografia, il fatto che questa possa e debba  essere considerata o meno forma d’arte, influenza inevitabilmente approccio, valutazioni, scelte.
Sia quando ci accostiamo come osservatori, sia quando produciamo fotografie.

Per provare a calare la questione nella vita dei “fotografanti di tutti i giorni”, cioè noi, vorrei prendere la faccenda da un altro punto di vista, mettendo per un attimo da parte cosa la fotografia possa essere in sé.
Non abbandonando il tema quindi, ma accantonando la necessità di lanciarsi in stereotipate definizioni. Lasciando insomma l’Arte tranquilla.

Possiamo cominciare, per esempio,  suddividendo la nostra vita genericamente in due parti distinte:

la parte del vivere dedicata al lavoro con le sue caratteristiche sociali

ovvero, il nostro contributo attivo alla società di cui facciamo parte e la fonte del nostro sostentamento materiale.

la parte che potremmo invece semplificare come “tempo libero”

che non esclude ovviamente contributi alla società, ma che fondamentalmente considereremo “per noi”.

Tralasciando la prima, quella lavorativa, possiamo concentrarci e ulteriormente suddividere in due la seconda, ovvero in:

una prima parte (del tempo libero) dedicata alle attività funzionali

ovvero  quello che si fa per uno scopo preciso e solitamente materiale, come andare dal medico, riparare un tubo del gas, preparare la cena, aiutare i figli a fare i compiti.

un’altra parte dedicata invece alle attività spirituali (fate la giusta tara alla parola, come più vi appartiene)

ovvero quello che non ha un preciso scopo apparente, ma che genericamente riteniamo ci arricchisca su un piano interiore. Per esempio la lettura di un libro, una passeggiata nel bosco, la decorazione della ceramica.

Naturalmente spesso le cose si sfumano e fluttuano un po’ (cucinare, per esempio, per alcuni fa ragionevolmente parte del primo gruppo, per altri del secondo), ma credo che l’idea sia comunque abbastanza chiara.

Ora guardiamo invece agli umani, in relazione alla fotografia. Potremmo dire che esistono:

  • fotografi professionisti
  • appassionati (o fotoamatori, più o meno evoluti)
  • fotografanti accidentali (che fotografano la nipote o un bel tramonto se capita, di solito con smartphone)
  • non fotografanti (quelli che al massimo fotografano la dichiarazione iva per mandarla al commercialista)

La prima, la terza e la quarta categoria, per motivi diversi ovviamente, non riguardano il nostro ragionamento (fermo restando che un professionista possa certo essere anche un appassionato, o che un non fotografante possa frequentare mostre e apprezzare le fotografie di Cartier-Bresson).

Eccoci quindi al punto

La categoria degli appassionati (o fotoamatori) possiamo ragionevolmente dire che inserisca la fotografia in quella parte della vita dedicata alle attività rivolte allo spirito. A una qualche forma di arricchimento perlomeno, non di tipo materiale.
Potremmo per cui dedurre che la fotografia (arte o meno che sia in sé) rientra di fatto nella sfera delle attività artistiche della vita, intese come opposto alla riparazione del tubo del gas.

Cioè: se io disegno un fiore, non è affatto detto stia producendo un’opera d’arte, ma posso sostenere con ragione  che mi sto dedicando a un’attività di tipo artistico.

A mio avviso, inquadrando la faccenda in questi termini, molte risposte ai quesiti quotidiani diventano più chiare e semplici. Si possono ricercare i famosi “perché” per una via sufficientemente adeguata. Più ovvia, più chiara appunto.

Non importa più se quello che produco sia quindi arte oppure no. Non è significativo  il fatto che io sia o meno un artista.
E possiamo quindi accettare senza eccesso d’ansia il fatto che gli artisti veri sono pochi. Pochissimi.
Quel che conta, è che ciò che sto facendo ha più relazione col mio spirito che non col raggiungimento di un fine preciso, pratico, “terreno”.

Io sono convinto che partire da qui, ovviamente se l’idea appare convincente, non sia privo di senso, anche se può apparire tutto piuttosto ovvio. E che questo possa determinare in larga misura il nostro approccio complessivo alla fotografia.
Al senso e al modo del fotografare, ma anche di considerare un “like”. Al ruolo corretto da attribuire a un certo contest o a una piccola pubblicazione. Ai possibili pesi da affibbiare al nostro sviluppo personale, in termini di  crescita tecnica e di studio in generale. Alle piccole e meno piccole soddisfazioni.

Perché se quanto detto sin qui è vero

appare evidente che la ricchezza interiore, la personalità, la qualità dell’apparato sensibile del fotografo, sono probabilmente i  fattori che più di tutto realizzano ogni fotografia. Che stanno alla base della sua capacità di esprimere.

E che, giusto per restare ai totem della fotografia, tutto ciò abbia il suo bel significato per aprire la via ai contenuti del prossimo articolo: conta davvero solo il fine, cioè ottenere la “buona fotografia” oppure no? Io credo di no.

FM


L’immagine introduttiva è di Man Ray – Solarizzazione
Vedi nella pagina del MoMa di NY

Fotografia. Conta il risultato! O no?

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Francesco Merenda

Classe '63, imprenditore, si dedica alla fotografia da oltre 35 anni. E' stato tra i fondatori, nel 2013, dell'associazione La Gabbia Armonica.

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