Fotografia. Lo stile: ecco un altro totem della rete, di quelli senza tempo!
Già, perché prima o poi il discorso salta fuori: il fotografo buono ce l’ha, lo stile. Il suo stile.
E in linea generale credo si possa concordare sulla faccenda, anche senza approfondire troppo.
Ma nonostante ciò, nulla è ovvio in rete: massimalismo da una parte e pulci a ogni parola dall’altra fanno si che il tema permanga, imperituro e (naturalmente) controverso!
Girando un po’ per il web, vedo che l’era del tutorial non fa distinzioni: anche rispetto allo stile quindi, forte è la tendenza a parlarne per mezzo di “come farselo venire in 5 punti” o “i 10 i segreti per avercelo”.
Ma… può funzionare? Lo stile è la conseguenza di una corretta pratica? Di una procedura meticolosamente coltivata e rispettata?
Prima di tutto, sarebbe forse importante definirlo, ‘sto stile. Ma questo non è negli scopi di questo blog, per cui ognuno lo definisca nel modo che gli pare più appropriato e secondo la propria cultura, sensibilità ed esperienza.
Anche se, nonostante ciò, una minima entrata nelle definizioni non si può eludere, è anzi necessaria per sviluppare qualche considerazione. Per esempio…
Molto spesso la parola “stile” sembra sovrapponibile a un’altra, ovvero “riconoscibilità”. E questo equivoco è probabilmente alla base dell’idea esposta sopra, ovvero che lo stile si raggiunga per procedure.
Tentiamo un esempio:
- Mio cugino Arturo Filippesco fotografa soltanto utensili da cucina e li vira in blu.
Indicativamente, possiamo supporre che, visti 4/5 scatti di Arturo, lo identificheremo poi immediatamente, anche al buio e senza torcia. - Viceversa, se ci capita sotto gli occhi una fotografia di Doisneau a noi non nota, è altamente probabile che non riusciremo ad attribuirla con certezza a lui, piuttosto che non a qualche altro illustre contemporaneo.
E se non è poi una delle più intriganti, magari nemmeno potremo escludere fotografanti meno illustri.
Per logica quindi, se la riconoscibilità è il tratto distintivo dello stile, dovremmo concludere che il Filippesco ce l’ha (lo stile) e Doisneau no. Ma qualche conto, diciamolo, non torna…
Che un “certo grado di identificabilità” sia implicito nel fatto di possedere uno stile è innegabile, ma è probabilmente superficiale pensare che questo sia la misura della personalità, l’indicatore vero e più esplicito della sua espressione.
Altrove abbiamo parlato di percorso, delle sensibilità che un fotografante possiede e coltiva. Prima ancora che come fotografante, che molto più semplicemente possiede come essere umano. Per esempio l’idea viene fuori nelle righe di “Conta il risultato. O no?”.
E non possiamo allora, per conseguenza, non richiamare la frasetta di Ansel Adams, per banale che possa apparire farlo:
Tu non fai una fotografia solo con la macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai ascoltato, e le persone che hai amato.
Ok: non brilliamo per originalità. Non siamo buoni prestigiatori. Nessuno è stupito. Lo sbadiglio è assicurato!
Ansel Adams
Ma per banale che sia, non è che lo stile nasca da queste parti? E non è che, se non partiamo da qui, nessun manualetto sul come farselo spuntare (lo stile) potrà compiere il miracolo?
Può sembrare astratto, una bella espressione concettuale, certo. Ma sul campo? Come c’entra questo, in pratica, con l’atto quotidiano del fotografare? Che c’azzecca col filo conduttore che legherà le mie fotografie, fino a che il mondo possa vederci, anche solo abbozzata, qualcosa che assomigli vagamente a uno stile?
Probabilmente Adams vuole dirci…
- che, per quello che noi siamo, finiremo inevitabilmente per scegliere alcuni soggetti e scartarne invece altri.
- Che forse scopriremo che il bianconero (o il colore) ci piace di più.
- E successivamente che un certo modo di fare bianconero (o colore) ci appartiene più di un altro.
- Che ci piacerà tentare riproduzioni fedeli degli accadimenti (per quanto una fotografia lo consenta ovviamente) o dipingere un paesaggio per farlo apparire un sogno.
- Ci accorgeremo che, in modo più o meno consapevole, tendiamo a un certo particolare gusto nelle inquadrature.
- Che ci viene più naturale cercare lo straordinario o, all’opposto, puntare l’occhio sul banale quotidiano.
- Che, in fondo, nelle nostre rappresentazioni vogliamo scorgere la grandezza di un Dio o la miseria dell’umano più basso.
- O ancora che, scoprendolo magari fotografia dopo fotografia, il mondo ci appare ironico oppure tragicamente grave.
- E se siamo attenti, probabilmente coglieremo il fatto che la nostra post produzione virerà verso un’enfasi adeguata a quello che abbiamo preferito, tra le cose dette sopra.
E parecchio altro, chissà…
Ecco, forse queste cose messe insieme, se c’è chiarezza di solido sentimento in noi (e diamolo per scontato, la tecnica ci appartiene a sufficienza), ci conducono come attraverso un imbuto verso l’assunzione e l’espressione di uno stile. Nostro.
Di un blend magari non unico in assoluto, ma comunque sufficientemente personale.
Che non porterà (non necessariamente perlomeno) a un’immediata riconoscibilità di ogni nostra fotografia al primo sguardo. Ma che, a un’osservazione adeguatamente ampia del nostro lavoro, stimolerà la sensazione di essere di fronte a qualcosa di unitario e proprio del suo autore. Di quello specifico autore. Espressione coordinata e coerente di rappresentazioni che parlano di continuità, anche col variare dei soggetti ripresi e delle situazioni narrate.
Forse lo stile è (anche) questo e molto spesso, guardando a quelli che chiamiamo maestri, quelli che della fotografia hanno fatto la storia, la sensazione è che tutto ciò venga tradotto in pratica, nelle loro fotografie, con disarmante semplicità. Fino ad apparire ovvio.
E se questo è in qualche misura vero, se tutto ciò ha a che fare con l’idea di stile, allora una cosa possiamo dirla con sufficiente convinzione:
Che è piuttosto improbabile lo si possa trovare per mezzo di un tutorial.
FM
L’immagine introduttiva è di Helmut Newton
All’interno dell’articolo, ritratto di Ansel Adams
Valentina
Certa che quello che ho scorso tra le righe non si possa apprendere attraverso un modo unidirezionale e che necessiti in primis di una chiara lettura ed interpretazione di quello che siamo umanamente. Sempre così bello leggerti perché esprimi in modo brillante quello che hai dentro e lo fai percepire in modo autentico. Adesso, per esempio, mi si stanno concretizzando delle sensazioni che prima erano aleatorie.
Francesco Merenda
Cara Valentina, penso che noi possiamo leggere solo come in uno specchio.
E che quindi “una chiara lettura e interpretazione di quello che siamo umanamente” (che è vero: è forse il requisito primo di un buon fotografante) è qualcosa che in realtà è a te che ragionevolmente già appartiene…
Un abbraccio!
Enzillo
Finalmente leggo spunti su come ricercare uno stile, che non sia semplicemente un preset di lightroom.
Spesso mi chiedo se una fotografia vada piegata al proprio stile, per chi lo ha, o se debba accadere il contrario, ovvero fregarsene della “riconoscibilita’” dello stile, e assecondare la foto stessa…
Francesco Merenda
Caro Enzillo, mi fa piacere che anche per te l’idea di stile non sia qualcosa che si mette a punto con le regolette di un tutorial.
Circa la tua seconda parte, io credo che le cose si mescolino e sovrappongano: inutile cercare di piegare la foto al proprio stile probabilmente.
Ma parallelamente, se hai maturato un modo tuo di fotografare (o meglio di comunicare con la fotografia), è probaile che la foto stessa sarà inevitabilmente, naturalmente, quello che si definisce…. “nel tuo stile” 🙂
Buona serata!
F