[2] Strada, ferrata

14 Settembre 2016 Francesco Merenda

Di Paola Palmaroli

La ferrovia ed il suono regolare, metallico, sussultorio e sbuffante che emette l’attrito tra rotaie e binari, traccia umana ben precisa che ha conquistato spazi e nostalgie tra chi ama viaggiare con quei mezzi. Tracce che hanno superato monti attraversandoli con gallerie, orme di ferro che hanno lasciato dietro di loro lacrime e sangue per conquistare continenti da un oceano all’altro.

In alcuni paesi sono l’unico mezzo di locomozione a portata di mano dopo le gambe ed i piedi. C’è chi le percorre per ritrovare il senso di un percorso passato, orme abbandonate e ricoperte dalla vegetazione, chi le riscopre e le rimette in uso. Sicuramente la ferrovia è una traccia lasciata dall’uomo sulla terra tra le più evocative e potenti per suggestioni e per implicazioni sociali e storiche.

Un’immagine come questa fa ritornare in mente viaggi passati, momenti della nostra vita dove il viaggio era esperienza sia fisica che cognitiva, vengono riportati alla luce suoni ed incontri, istanti indimenticabili che riprendono possesso di quello che siamo stati con la consapevolezza di ciò che ora rappresentiamo per noi stessi. Le tracce lasciate dagli esseri umani tentano con ostinazione e tenacia tenerissime di conquistare lo spazio ed il tempo.Lo spazio è facile da definire, abbiamo il corpo come strumento di misura ed intorno a noi tutto diventa possibile, basta muoversi, porre in essere le regole del moto grazie ai muscoli, ad un treno in corsa. I binari invece sono quel tempo sospeso che vorremmo catturare, in una fotografia, trasformarlo in memoria scritta, in pensiero, visualizzando quelle due linee apparentemente infinite perché parallele, sfuggenti eppure alla nostra portata, create da noi stessi per evitare ai giorni ed alle notti di inghiottire gli sforzi per raggiungere la meta, per dimezzare la fatica e poter sostare con il pensiero lungo il tragitto. Lasciare una traccia ma essere consapevoli di cosa si dona, si imprime nel vissuto collettivo e personale. Lasciamo qualcosa dietro di noi, è importante sapere cosa? Oppure vivere è un viaggio che non lascia tracce ma sposta solo corpi, pura energia e nulla di più, attraversando continenti sconosciuti perfino a noi stessi? Ci sono due tipi di viaggiatori. quelli che si portano appresso il mondo in un baule pesantissimo e difficile da gestire, chi non vuole avere nulla tranne il biglietto in tasca per iniziare qualsiasi viaggio. Fotografare è un viaggio che permette di essere liberi dalla memoria per fissare solo un brandello di istante, per essere velocità e non solo mezzo di locomozione, moto e non solo percorso. Il presente è sublimato al massimo dalle tracce lasciate dai binari, ogni attimo è il primo e l’ultimo, gli orizzonti cambiano continuamente e ad una velocità pazzesca perfino per la mente umana.

Tenere da parte il cuore e permettere alla ragione di sospendere quella dimensione tanto cara alle emozioni, seguire due linee parallele che viaggiano verso l’infinito senza curarsi ne da dove provengano ne dove si dirigano. Camminare spostandosi così velocemente da avere la percezione di non muoversi, questo dona il treno, non possedere più un’ombra, essere quei binari, diventare orma di se stessi e non suscitare altro che curiosità senza essere ne giudicati ne fermati. La ferrovia è il viaggio della ragion pura, la luce della mente con la sua velocità supera il tempo e lo spazio. Tu che lo rammenti sempre nelle tue immagini fissi quell’idea di relatività nata proprio osservando un treno in corsa! Un uomo può vivendo e non solo attraverso la memoria arrivare a viaggiare nel tempo e nello spazio senza spostarsi dal luogo in cui si trova, può la fotografia sostituirsi alla memoria, ridefinirne il concetto stesso? Tu lo hai fatto amico mio, tu ci riesci sempre proprio quando meno te lo aspetti le tue fotografie diventano un viaggio nel pensiero che le figure umane interpretano in ogni dove, conservando quella purezza di intenti che il futuro dilatato dal senso di onnipotenza giovanile permette e le fotografie confermano.

Tempo fa Francesco hai scritto riflettendo sulla fotografia: “il tempo…. parlando di diaframmi e focheggiatura spesso ci si dimentica della relazione intima tra il tempo che scorre l’immagine statica, che tenta affannosamente di darne un’interpretazione e un nuovo moto, fermandolo…. Eppure, per tanti grandi fotografi, questo è il tema vero e affascinante!” Lo è per tutti, non solo per i grandi fotografi, la differenza fra loro e chi non si pone queste domande è che tale urgenza e tensione cognitiva non fa parte del divenire comune, la fotografia può davvero diventare solo memoria e ricordo e nulla più, un modo onorevole per sopravvivere a se stessi continuando a ricercarsi in fotogrammi che rimandano a ciò che eravamo.

Più difficile e faticoso leggere quelle orme e scoprire ciò che siamo diventati grazie ad esperienze ancora da terminare, viaggi ancora in essere. Specchiarsi fa sempre paura, meglio indulgere nella tentazione di percorrere i binari al contrario, tornare indietro nello spazio e nel tempo, rivedersi e fermarsi a quell’istante preciso. C’è chi prendendo un treno va avanti, chi invece si vuol fermare o peggio ancora torna sui suoi passi. Le tracce lasciate dai treni sono una fusione di coraggio e di paura, di curiosità e di nostalgia, di conoscenze e di luoghi comuni. Se vogliamo che la memoria diventi anch’essa un moto perpetuo cui attingere allora ha maggiore senso ripercorrere le sue tracce; se è fissa e bloccata da emozioni che non si tenta neppure di elaborare e sviscerare rischia di diventare come certi tratti ferroviari, ricoperti da una vegetazione infestante, binari morti che si fanno ammirare come luoghi perduti ma tali rimangono ed affascinano per quel deja vu pausa infinita nel video dell’esistenza, tremolio di fotogrammi e nulla di più!

Nella tua immagine esiste invece l’unione tra il moto dell’anima che si fonde con quello del corpo per diventare traccia infinita di un esistere che predilige seguire tutte le tracce lasciate, nessuna esclusa, capaci di resuscitare il passato per rendere il presente ed il futuro ancora più allettanti, tracce mai date per scontate, soprattutto invecchiando. Ho percorso in treno buona parte dei miei viaggi, rammento che i ricordi finivano per tramutarsi naturalmente in respiro, quello che lasciavo indietro non veniva rimosso, piuttosto elaborato e finalizzato a ciò che sceglievo di incontrare andando avanti. Ogni viaggio presupponeva una catarsi, un rinnovamento, viaggiando paradossalmente mi fermavo e ripartivo da zero, con un bagaglio più leggero sulle spalle. Amo ancora oggi viaggiare in treno, i pensieri vengono cullati e sedimentano senza diventare un peso, quei binari diventano parte di me, le stazioni lungo il percorso punti grazie ai quali si può andare a capo. Tracce diverse per ognuno di noi con in comune quel senso di infinito che i parallelismi fisici suscitano e quelli più emozionali invitano a seguire senza mai fermarsi.

Di Paola Palmaroli.

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Francesco Merenda

Classe '63, imprenditore, si dedica alla fotografia da oltre 35 anni. E' stato tra i fondatori, nel 2013, dell'associazione La Gabbia Armonica.

Comment (1)

  1. Valentina

    Chi non ha mai viaggiato almeno una volta nella vita su un treno?
    Credo sia inevitabile anche al nostro subconscio non far affiorare alla mente un viaggio su rotaie.
    Ricordo ancora il primo… ed ero piccola
    Ricordo anche che mia madre parlava di Bologna e di quell’avvenimento tragico che aveva scosso tutti, ancor più che fosse avvenuto in una stazione affollata.
    Ricordo gli scossoni e le frenate del treno, lo stridulo attrito del ferro per poi riprendere nuovamente ritmo avanzando velocità.
    Era affascinante quel viaggiare in coda, diverso dai viaggi con papà in auto.
    Lo stupore misto presentimento, talvolta associato alla paura di non riuscire a fermarsi, sono stati per anni un ricordo importante ma crescendo imparai ad interessarmi al mondo visto a quell’andatura e velocità.
    Quel fissare l’esterno del finestrino e rincorrere le immagini correggendone ogni volta la focale. Ma lo osservavi maggiormente negli occhi degli altri che quel guardare richiedeva un lavoro per gli occhi. Quei movimenti oscillatori, ritmici e involontari dei bulbi oculari a cercar di tenere il passo con quel flusso di immagini.
    Ed i viaggi osservati attraverso il riflesso del finestrino opposto, la contaminazione con le luci e le ombre sfuggenti che andavano e venivano… quanti ricordi.
    Posso dire che una gran parte della mia vita l’ho vissuta in treno. I viaggi da pendolare, da studente, le rincorse ai binari, le corse contro il tempo, gli infiniti treni locali con i loro arrestarsi di frequente, la testa a penzoloni che non riuscivi a correggere che ricadeva.
    In quei viaggi in treno ho conosciuto perfino l’amore.
    Un viaggio galeotto, uno scambio di sguardi, l’imbarazzo del dover condividere lo spazio ed il tempo.
    Ma quante amicizie fatte nei momenti di attesa, in cui scrutavi lo scartamento tra i lembi avvicinarsi all’orizzonte fino a fondersi in un tutt’uno… e potevi sentire in lontananza l’arrivo del convoglio farsi sempre più intenso.
    Il viaggio, quante possibilità create, quanto tempo consumato, quanti paesaggi scoperti, quante emozioni, quanti pensieri andati…
    trascorriamo gran parte della nostra vita a viaggiare e dovremmo prenderci cura di quel vivere in movimento.
    Viaggiare è un modo di conoscere sé stessi rapportati al mondo, una simbiosi autentica quanto quello che siamo.
    Quindi si, ho fotografato con gli occhi un’infinità di volte quelle tratte e negli anni a seguire li ho talvolta immortalati con la fotocamera ma è la mente l’archivio che conserva e che riproduce fotogrammi di cui non posso più slegarmi.

    È stato un bel viaggio questo, nei ricordi più e meno autentico di un trascorso davvero importante.

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